Brevi note a Cass. Sez.Un. 28.2.2021 n.2061
Risoluzione per inadempimento di contratto di leasing anteriormente alla dichiarazione di fallimento – Domanda di ammissione al passivo – Contratto stipulato prima delle modifiche dell’art. 72 quater L.F. (Dlgs n. 5/ 2006) e delle leggi sul leasing “giovanile o abitativo” (L.208/2015 art. co.74-80) e sul leasing finanziario (L. 124/2017, commi 136-140)- Applicabilità dell’art. 1526 c.c.
La sentenza in commento (scaricala Qui) doveva rispondere al seguente doppio quesito posto dall’ordinanza interlocutoria della Terza Sezione n. 5022 del 25.2.2020 (scaricala Qui) : “se possa applicarsi in via analogica, anche solo per analogia iuris, una norma inesistente al momento in cui venne ad esistenza la fattispecie concreta non prevista dall’ordinamento; ed in caso affermativo se, con riferimento al caso di specie, tale norma da applicarsi in via analogica possa ravvisarsi nell’art. 72-quater L.Fall.”.
Questi i tre principi affermati dalle Sezioni Unite:
1) Sussiste l’interesse ad agire ed è ammissibile la proposizione della domanda di risoluzione per inadempimento di un contratto di leasing la cui efficacia è già cessata prima della dichiarazione di fallimento dell’utilizzatore.
2) In caso di risoluzione per inadempimento di un contratto di leasing stipulato anteriormente all’introduzione della modifica dell’art. 72 quater L.F. dal Dlgs n. 5/ 2006 e delle leggi sul leasing “giovanile o abitativo” (L.208/2015 art. co.74-80) e sul leasing finanziario (L. 124/2017,commi 136-140) alla domanda di ammissione al passivo si applica l’art. 1526 c.c e non l’art. 72-quater L.F. e permane la distinzione tra leasing traslativo e di godimento, con esclusione dell’applicazione di ogni altra disciplina .
3) In base alla disciplina dettata dall’art. 1526 c.c., in caso di fallimento dell’utilizzatore, il concedente che aspiri a diventare creditore concorrente ha l’onere di formulare una completa domanda di insinuazione al passivo, ex art. 93 I.f., in seno alla quale, invocando ai fini del risarcimento del danno l’applicazione dell’eventuale clausola penale stipulata in suo favore, dovrà offrire al G.D.la possibilità di apprezzare se detta penale sia equa ovvero manifestamente eccessiva, a tal riguardo avendo l’onere di indicare la somma esattamente ricavata dalla diversa allocazione del bene oggetto di leasing, ovvero, in mancanza, di allegare alla sua domanda una stima attendibile del valore di mercato del bene medesimo al momento del deposito della stessa.
Quanto al principio sub 1) la Corte afferma che è proponibile la domanda di risoluzione per inadempimento di un contratto di leasing verificatosi in data anteriore alla scadenza naturale del contratto, in virtù della consolidata giurisprudenza della Corte maturata in fattispecie diverse quali “[mandato (Cass., 6 giugno 2018, n. 14623); locazione (Cass., 17 luglio 2008, n. 19695; Cass., 28 novembre 2008, n. 28416; Cass., 9 luglio 2009, n. 16110; Cass., 22 dicembre 2015, n. 25740; Cass., 20 dicembre 2019, n. 34158); appalto (Cass.,6 aprile 2011, n. 7878)] -, è possibile enucleare un principio piùgenerale (la cui tenuta deve, comunque, essere testata nelle vicende singolari), per cui la cessazione di efficacia di un contratto, per lo spirare del termine di durata, non preclude, di per sé, la possibilità di far valere rimedi risolutori, azionabili per un inadempimento concretatosi anteriormente alla scadenza naturale del contratto medesimo. E tanto non solo in ragione dell’alterità, nonché priorità degli effetti nel tempo, della risoluzione rispetto ad altra causa dicessazione del contratto, ma, altresì, in forza del potere di autonomia privata del contraente non inadempiente – che trova rispondenza anche nella consentita alternativa dei rimedi (adempimento e risoluzione) e nella prevalenza di quello risolutorio alla stregua di quanto disposto dai primi due commi dell’art. 1453 c.c. -, il quale, in ragione della cessazione fisiologica del termine di durata delcontratto, sarebbe privato della possibilità di far valere l’inadempimento altrui.
Quanto ai due altri principi la corte nel dare atto del contrasto creatosi all’interno della Corte di cassazione tra due criteri interpretativi opposti circa la disciplina applicabile in caso di risoluzione per inadempimento del contratto di leasing , le Sez. Unite optano di condividere quello adottato per un trentennio mantenendo ferma la distinzione fra leasing traslativo e di godimento e l’applicabilità della disciplina dell’art. 1526 in caso di risoluzione del contratto, piuttosto che l’ ultimo il quale considerando superata la detta distinzione riteneva doversi applicare analogicamente la nuova normativa dettata in tema di leasing introdotta dalla modifica dell’art. 74-quater della L.F. e dalla disciplina del leasing giovanile e da ultimo del leasing finanziario introdotto dalla legge 124/2017. Secondo Sez. Un. il precedente orientamento costante e coeso per circa un trentennio è stato infatti “contrastato da una serie di pronunce di questa Corte (a partire da Cass., 29 marzo 2019, n.8980, seguita poi da: Cass., 20 agosto 2019, n. 18545; Cass., 30 settembre 2019, n. 24438; Cass., 28 ottobre 2019, n. 27545), inclini a valorizzare, in via interpretativa, proprio la novella legislativa del 2017, giungendo alla conclusione che, in ragione dell’innovazione del quadro normativo di riferimento (già inciso dal citato art. 72-quater I.f., ma anche da ulteriori settoriali interventi legislativi), l’art. 1526 c.c. non possa trovare applicazione nel caso di risoluzione per inadempimento dei contratti di leasing, traslativi o di godimento che siano, in quanto è stata superata, per l’appunto, la tradizionale distinzione, di origine pretoria, tra leasing traslativo e di godimento, quale figure ora accomunate in una regolamentazione unitaria e a vocazione generale anche quanto ai stabiliti effetti della risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore.”
Tale giurisprudenza fondava siffatta interpretazione sul principio del non esaurimento degli effetti del contratto e dunque dell’applicazione della nuova normativa per effetto di una interpretazione storico evolutiva “secondo cui una determinata fattispecie negoziale (…) non può che essere valutata sulla base dell’ordinamento vigente, posto che l’attività ermeneutica non può dispiegarsi “ora per allora, ma all’attualità”; e ciò sul presupposto che, sino al definitivo accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato, non si siano esauriti i relativi effetti.
Donde, il principio per cui le conseguenze della risoluzione dei contratti di leasing, antecedente al fallimento dell’utilizzatore e sottratti ratione temporis all’efficacia diretta della legge n. 124 del 2017, debbano essere disciplinate in via analogica dall’art. 72-quater I.f., che esibisce la medesima regolamentazione di quella poi fatta propria dalla novella più recente”.
La corte ritiene di non condividere l’ultima linea interpretativa posto che la stessa confligge col principio della certezza del diritto nei suoi tre corollari quali “il principio di irretroattività delle norme; il principio di tutela del legittimo affidamento ed il principio di salvaguardia dei diritti quesiti” sia di diritto interno che sovranazionale ed unionale (art. 6 CEDU, art. protocollo addizionale alla CEDU, recepiti nel TFUE), nonché col “principio di ragionevolezza”, di tutela dell’affidamento sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di Diritto” quello della “coerenza e della certezza dell’ordinamento giuridico e del rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario”.
La scelta viene giustificata da una amplissima disamina del diritto interno (artt.10,11,12,14 e 15 preleggi) a e comunitario e da una serie di decisioni della CGUE, della Corte Costituzionale e da numerose decisioni della Cassazione.
Segue (dal paragrafo 4.5.al 4.6) una minuziosa disamina ed interpretazione della portata della disciplina dell’art. 1526 c.c.e della nuova normativa in materia fallimentare e di leasing.
Le Sezioni Unite confrontano le due discipline ponendone in evidenza le differenze ed i punti comuni alla luce anche della disciplina del codice civile e richiamando la corretta interpretazione degli artt. 1455, 1456 e 1458 c.c.
La sentenza inoltre approfondisce l’interpretazione della causa concreta del contratto di leasing e delle sue peculiarità nei casi di inadempimento evidenziando la funzione caratteristica di finanziamento e non di compravendita (non rientrando la compravendita o l’investimento immobiliare nell’oggetto dell’ attività di una società di leasing) che si attuerebbe non con la restituzione dell’immobile attraverso ma piuttosto con la restituzione delle somme erogate a titolo di finanziamento, con gli interessi, il rimborso delle spese e gli utili dell’operazione.
Ciò chiarito le sez. Unite iniziano al paragrafo a pag. 33, la disamina della portata sia del primo che del secondo comma dell’art. 1526 distinguendo la disciplina dell’equo compenso (I comma 1526) da quello del risarcimento del danno (II comma 1526).In particolar la sentenza si sofferma ad analizzare ed interpretare la portata del secondo comma dell’art.1526 c.c, contenente la cosiddetta clausola penale “di confisca” (consistente nel potere di trattenere sia tutte le somme versate che la proprietà dell’immobile) attenuata dal principio di cui all’art. 1384 c.c. ,diretto ad evitare indebite locupletazioni del creditore e quale espressione del potere correttivo del Giudice per limitare la libera autonomia delle parti.
Tale potere viene descritto richiamando risalenti decisioni come attività di riequilibrio del sinallagma contrattuale, attuato attraverso un congruo contemperamento degli opposti interessi operando una valutazione comparativa tra il vantaggio della penale inserita nel contratto di leasing (cosiddetta clausola di confisca) assicura al contraente adempiente ed il margine di guadagno che il locatore si riprometteva legittimamente di trarre dalla regolare esecuzione del contratto, come peraltro stabilito dalla convenzione di Ottawa, esplicitamente menzionata unitamente alla legge di ratifica n.259/1993, convenzione e legge esplicitamente richiamate da alcune sentenze della Cassazione (888/2014 e 15202/2018), come utile supporto interpretativo e non già come diritto positivo applicabile.
Ciò precisato le Sezioni Unite al punto 4.7.1 compiono un interessantissimo sforzo comparativo-interpretativo tra la disciplina dell’art. 1526 e quella dell’art. 72-quater L.F. e della L. 124/2017 contenente una lettura della normativa attualmente applicabile per i contratti stipulati anteriormente all’entrata in vigore della normativa successiva che va a colmare il vuoto legislativo lasciato dalla mancanza di una disciplina transitoria sia per l’art. 72-quater che per la legge 124/2017.
Secondo la sentenza in commento il secondo comma dell’art. 1526 costituisce “uno spettro filtrante” utilizzato dalla costante giurisprudenza della Corte di Cassazione per stabilire quali delle svariate clausole “standardizzate” espresse dall’autonomia privata nei singoli contratti fossero o meno meritevoli di protezione, richiamando implicitamente il principio dell’art. 1322 II co c.c..
Seguono una serie di regole juris, che le Sez. Unite enunciano prima di arrivare all’enunciazione del duplice principio (riportato al punto 4.8 di pag. 37) e che vale la pena riportare sinteticamente in quanto le stesse riproducono vari principi massimati in precedenti decisioni tali da costituire un parametro di valutazione delle fattispecie concrete soggette al vaglio giudiziale.
1) E’ manifestamente eccessiva e non meritevole di tutela (ex art. 1322) la clausola che consente al concedente di mantenere la proprietà del bene e di trattenere tutti i canoni percepiti fino al momento ella risoluzione costituendo un indebito vantaggio il cumulo tra il residuo valore del bene e la somma dei canoni percepiti, secondo anche Cass. 1581/2020.
2) Lo è invece la clausola che preveda la detrazione dai canoni riscossi l’importo ricavato dalla vendita del bene restituito. (Cass. n.15202 del 2018 e Cass. n. 1581 del 2020, nonché Cass.28 agosto 2019, n. 21762 e Cass. 8 ottobre 2019, n. 25031).
3) qualora la vendita o altra allocazione sul mercato non avvenga resta fermo il diritto dell’utilizzatore di detrarre dai canoni versati l’eventuale maggior valore ricavabile dalla vendita del bene ma a condizione che avvenga “a prezzi di mercato”.
4) qualora manchino tali clausole il giudice, qualora la penale sia stata oggetto di domanda od eccezione, deve ridurre d’ufficio la penale adottando come parametro una valutazione comparativa tra il vantaggio della penale inserita nel contratto di leasing (cosiddetta clausola di confisca) assicura al contraente adempiente ed il margine di guadagno che il locatore si riprometteva legittimamente di trarre dalla regolare esecuzione del contratto .
5) strumento per addivenire a tale valutazione è una stima del valore di mercato che il bene aveva al momento della restituzione con la specificazione che: a) se il bene è stato venduto dal concedente il valore è quello conseguito; b) se non è stato venduto occorrerà stimarlo. Conseguentemente, ferma restando l’irripetibilità dei canoni già riscossi il giudice dovrà detrarre, anche d’ufficio, tale valore dalle somme dovute al concedente, e se sopravanzi un residuo lo stesso andrà restituito all’utilizzatore ovvero, al curatore del fallimento successivo alla intervenuta risoluzione.
Per la fattispecie giudicata dalla Corte e per i casi analoghi viene stabilito un ulteriore principio:
6) “l concedente che aspiri a diventare creditore concorrente ha l’onere di formulare una domanda di insinuazione al passivo, ex art. 93 I.f., in seno alla quale, invocando l’applicazione dell’eventuale clausola penale stipulata in suo favore, offra al giudice delegato la possibilità di apprezzare se detta penale sia equa ovvero manifestamente eccessiva; e per consentire siffatta valutazione da parte del giudice delegato, è chiaro onere dell’istante quello di indicare la somma esattamente ricavata dalla diversa allocazione del bene oggetto di leasing, ovvero, in mancanza, di allegare alla sua domanda una stima attendibile del valore di mercato del bene medesimo al momento del deposito della stessa”.
Tali regole sono dirette a disciplinare la portata dell’art. 1526, I e II comma coordinandole con i principi posti sia dall’art. 74 quater sia con la disciplina del leasing finanziario (art. 1 co da 136 a 140 L.124/2017).
E’ interessante, peraltro, l’inquadramento sistematico dell’istituto de quo che ne esce dalla decisione delle sezioni Unite, attraverso il combinato disposto degli artt. 1322 e 1384 e 1526 raffrontati con l’art. 74 quater L.F. e con i commi 138 e 139 dell’art. 1 della legge 124/2017: esso, infatti, è da intendersi quale limite all’autonomia contrattuale delle parti, giustificato dal perseguimento di valori meritevoli di tutela e di forte vocazione costituzionale e del diritto unionale. Viene evidenziato in particolare per la clausola di confisca la necessaria rispondenza di tale clausola al principio dell’equilibrio contrattuale degli opposti interessi al fine di evitare che venga alterato ad esclusivo vantaggio di un parte ad discapito dell’altra. Senza che siano mai menzionati è chiaro il riferimento implicito al presidio del principio di solidarietà reciproca (art. 2 Cost.) ed al correlato principio di buona fede contrattuale (1375 c.c.) laddove si richiama il potere del giudice di ridurre la penale esercitabile d’ufficio per il congruo temperamento degli interessi contrapposti (secondo Cass. Sez.Un. 18128/2005) e ciò sia con riferimento alla penale manifestamente eccessiva, sia con riferimento all’ipotesi in cui la riduzione avvenga perché l’obbligazione principale e stata in parte eseguita, giacché in quest’ultimo caso, “la mancata previsione da parte dei contraenti di una riduzione della penale in caso di adempimento di parte dell’obbligazione, si traduce comunque in una eccessività della penale se rapportata alla sola parte rimasta inadempiuta”.
Unica perplessità che sorge è il mancato rilievo circa l’ulteriore profilo d’illegittimità della clausola di confisca ove pur in presenza della previsione di detraibilità del valore di mercato del bene manchi la clausola marciana e cioè la determinazione del valore di mercato ad opera di un terzo indipendente, clausola di fatto applicata, sia pure in forme attuative diverse, è contemplata tanto nell’art. 74 quater che nella legge 124/2017, art. 1 comma 139.
Conclusivamente la motivazione, sia pure con quest’ultima lacuna, è sicuramente un valido orientamento per la risoluzione di molte controversie attualmente pendenti riguardanti i casi di risoluzione per inadempimento specie nei contratti di leasing immobiliare che sono “esplosi” dal 2007 in poi a causa della crisi generalizzata dell’economia specie nel campo immobiliare che ha travolte il settore ed inasprito il contenzioso sia per la complessità della normativa applicabile, sia spesso per la scarsa trasparenza dei contratti e dei software applicativi adottati dalle società di leasing specie in tema di calcolo degli interessi inclusi nei canoni che dei parametri di indicizzazione e di attualizzazione.
Forlì 29 gennaio 2021 Avv .Francesco Roli