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COMMENTO AD ORDINANZA CORTE DI CASSAZIONE 5 SETTEMBRE 2018 N. 21646 – (saldo rettificato – anatocismo – cms)

COMMENTO AD ORDINANZA CORTE DI CASSAZIONE 5 SETTEMBRE 2018 N. 21646 – (saldo rettificato – anatocismo – cms)

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 Massima (non ufficiale):

-Inammissibilità della domanda del cliente di condanna della banca al pagamento del saldo rettificato in caso di conto aperto.

-Legittimità e sussistenza dell’interesse ad agire del correntista a proporre in via subordinata  a conto ancora aperto  tanto la domanda di accertamento della nullità degli addebiti in conto per la nullità del titolo rappresentato da clausole contrattuali rigurdanti interessi anatocistici e CMS, quanto la domanda di accertamento della entità del saldo (parziale) ricalcolato senza le appostazioni illegittime.

-Non ostatività all’esame delle suddette domande della proposizione in via principale della domanda di condanna al pagamento del saldo rettificato, per insussistenza di rimesse solutorie.

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Il fatto

Un ricorrente aveva proposto contro una banca, avanti al Tribunale di Matera quattro diverse domande, aventi ad oggetto l’“’accertamento della nullità di clausole anatocistiche dei contratti di conto corrente intercorsi tra le parti e regolanti un rapporto che risaliva al 24 settembre 1985; l’attrice domandava, altresì, l’accertamento del dare e avere relativo al conto in essere, con scomputo degli interessi anatocistici, l’accertamento della somma che la stessa istante aveva indebitamente versato alla banca a quel titolo, oltre che a titolo di commissione di massimo scoperto,, fino al 31 dicembre 1991, nonchè la condanna del Banco di Napoli alla ripetizione dell’indebito consistente nelle somme illecitamente riscosse dall’istituto di credito; in subordine, chiedeva la corresponsione del medesimo importo quale indennizzo per l’ingiustificato arricchimento; il tutto con la maggiorazione della rivalutazione, degli interessi e del risarcimento del maggior danno ex art. 1224 c.c..

Il Tribunale di Matera accoglieva integralmente le domande principali e riteneva assorbita la domanda per ingiustificato arricchimento.

L’appello proposto dalla banca davanti la Corte d’Appello di Potenza veniva accolto. In particolare la Corte d’Appello dichiarava inammissibile la domanda principale proposta dal cliente, mentre il rapporto era ancora in corso, volta ad ottenere la condanna della Banca al pagamento delle somme illegittimamente addebitate in virtù delle clausole riguardanti l’anatocismo e le CMS.

Secondo la Corte siffatta decisione rendeva superfluo l’esame delle altre domande riproposte dal cliente in sede d’appello incidentale volte ad ottenere: 1) la dichiarazione di nullità delle clausole riguardanti l’anatocismo e le CMS; 2) la rettifica del saldo mediante l’eliminazione di tutte le poste addebitate dalla banca per interessi anatocistici e CMS; 3) la condanna della banca a rettificare il saldo depurato degli interessi anatocistici e delle CMS.

Secondo la Corte la declaratoria d’inammissibilità della domanda principale precludeva l’esame delle restanti domande.

Su ricorso del cliente la Corte ha cassato la sentenza della Corte d’Appello, rinviando per la decisione ad un’altra sezione della medesima Corte.

Il sillogismo motivazionale.

1) La Corte ha riaffermato la legittimazione del cliente e del suo interesse ad agire a proporre in caso di conto corrente ancora aperto le seguenti domande:

a) la declaratoria di accertamento delle nullità delle clausole contenenti pattuizioni anatocistiche e di CMS;

b) la rettifica del saldo parziale del conto, deprivato degli addebiti nella colonna dare effettuati in esecuzione delle clausole anatocistiche e delle CMS dichiarate nulle;

c) la conseguente condanna della banca a rettificare il relativo saldo rettificato;

Ha invece confermato l’inammissibilità della domanda volta a chiedere la condanna della banca alla restituzione delle somme illegittimamente addebitate per difetto dell’interesse ad agire in caso di conto aperto per l’inesistenza di rimesse solutorie.

Ha infine statuito l’obbligo del giudice d’appello di esaminare e di dichiarare la fondatezza o meno delle prime tre domande senza che la declaratoria di inammissibilità della domanda di condanna della banca al pagamento del saldo rettificato mentre il conto è ancora aperto possa considerarsi assorbente e preclusiva dell’esame delle prime tre

La decisione della Corte di Cassazione, richiamando risalenti principi rinvenibili in due sue precedenti decisioni (Sezioni Unite del 2.12.2010 n. 24418 e Prima Sezione, 15 gennaio 2013 n. 798) accoglie l’appello del correntista avverso la decisione della Corte d’Appello di Potenza che aveva integralmente rigettato le prime tre domande sull’erroneo presupposto che fosse preclusivo l’esame delle stesse il rigetto della domanda di condanna al pagamento del saldo rettificato.

Giova ricordare il cristallino iter motivazionale della Suprema Corte.

La Corte innanzitutto dichiara di non condividere  la motivazione della  Corte d’Appello di Potenza premettendo  che il correntista anche a conto aperto abbia l’interesse a far accertare la nullità delle clausole che abbiano dato luogo ad illegittimi addebiti di interessi anatocistici e di commissioni di massimo scoperto in forza delle corrispondenti clausole invalidamente pattuite e senza che la declaratoria di inammissibilità della domanda di condanna al pagamento del saldo ne possa precludere l’esame,  in quanto sussiste un incontestabile legittimo interesse del correntista al triplice accertamento per almeno tre condivisibili  ragioni così formulate:

Tale interesse rileva, sul piano pratico, almeno in tre direzioni: quella della esclusione, per il futuro, di annotazioni illegittime; quella del ripristino, da parte del correntista, di una maggiore estensione dell’affidamento a lui concesso, siccome eroso da addebiti contra legem; quella della riduzione dell’importo che la banca, una volta rielaborato il saldo, potrà pretendere a seguito della cessazione del rapporto (allorquando, cioè, dovranno regolarsi tra le parti le contrapposte partite di debito e credito). Sotto questi tre profili la domanda di accertamento di cui si dibatte prospetta, dunque, per il soggetto che la propone, un sicuro interesse, in quanto è volta al conseguimento di un risultato utile, giuridicamente apprezzabile, che non può attingersi senza la pronuncia del giudice.

Come lucidamente osservato dalle Sezioni Unite di questa Corte, il correntista, sin dal momento dell’annotazione in conto di una posta, avvedutosi dell’illegittimità dell’addebito in conto, ben può agire in giudizio per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell’addebito si basa e, di conseguenza, per ottenere una rettifica in suo favore delle risultanze del conto stesso: e potrà farlo, se al conto accede un’apertura di credito bancario, proprio allo scopo di recuperare una maggiore disponibilità di credito entro i limiti del fido concessogli (Cass. Sez. U. 2 dicembre 2010, n. 24418, Cass. 15 gennaio 2013, n. 798).Nel medesimo senso: Cass. Civ. 5919/2016;

 Quanto a quest’ultima decisione ci appare opportuno ricordarne le principali massime che rafforzano i principi sopra affermati con analoghe argomentazioni che chiariscono l’insopprimibile interesse e diritto del correntista alle declaratorie di nullità di clausole anatocistiche di CMS in corso di rapporto e della conseguente richiesta di condanna della banca ad adeguarsi alla decisione del Giudice.

L’annotazione in conto di una posta di interessi (o di commissioni di massimo scoperto) illegittimamente addebitati dalla banca al correntista comporta un incremento del debito dello stesso correntista, o una riduzione del credito di cui egli ancora dispone, ma in nessun modo si risolve in un pagamento, nel senso che non vi corrisponde alcuna attività solutoria in favore della banca; con la conseguenza che il correntista potrà agire per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell’addebito si basa (allo scopo eventualmente di recuperare una maggiore disponibilità di credito, nei limiti del fido accordatogli), ma non potrà agire per la ripetizione di un pagamento che, in quanto tale, da parte sua non ha ancora avuto luogo. Di pagamento, nella descritta situazione, potrà dunque parlarsi soltanto dopo che, conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto corrente, la banca abbia esatto dal correntista la restituzione del saldo finale, nel computo del quale risultino compresi interessi non dovuti e, perciò, da restituire se corrisposti dal cliente all’atto della chiusura del conto

Di conseguenza la Corte, nel caso in esame, avrebbe dovuto comunque statuire sul merito delle domande di accertamento proposte giacchè la mancanza di rimesse solutorie non escludeva un interesse del correntista all’ottenimento delle pronunce invocate.

Il sillogismo della Corte pur non chiarendo se l’affermazione della inesistenza delle rimesse solutorie riguardi esclusivamente il caso concreto, sicuramente non potrebbe essere suscettibile di una scorretta interpretazione volta ad escludere in assoluto l’esistenza di siffatte rimesse solutorie prima della chiusura del conto, in quanto, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite del 2.12.2010 n. 24418 tali rimesse sussistono tutte le volte in cui si verifichi un pagamento costituito da rimesse del correntista che implichino uno spostamento patrimoniale.

E’ noto che per tali rimesse si intendano quelle effettuate in assenza di affidamento o di rientro dallo sfondamento del fido concesso.

E’ altrettanto noto secondo, quantomeno le tesi sostenute dai difensori dei clienti che l’accertamento di tale spostamento patrimoniale per effetto delle decisioni in commento deve operarsi:

  1. non sul saldo- banca ma su quello rettificato;
  2. sul comportamento tenuto dalla banca nel corso del rapporto ai sensi dell’art. 1362 II co c.c. che di fatto per prassi, fino all’introduzione del divieto assoluto dell’anatocismo, operato dal Legislatore (art. 1 comma 629 legge 147/2013 ed art. 17-bis legge 8 aprile 2016 n. 49) ha sempre capitalizzato trimestralmente gli interessi;
  3. sulla costante  applicazione  da parte della banca dell’art. 1194 c.c anche in assenza di rimesse solutorie;
  4. sulla costante imputazione da parte della banca dei supposti pagamenti al conto economico anziché allo stato patrimoniale;
  5. sull’assoluta assenza  di richieste al correntista  nè verbali né scritte volte ad intimare il rientro immediato nel fido;
  6. sulla routinaria e costante concessione di affidamenti di fatto che escludono in sé ed a priori il concetto stesso di sfondamento del  (e di rientro nel)  fido;
  7. sulla costante condotta posta in essere dalla banca volta al  pagamento, anziché alla richiesta di protesto, degli assegni scoperti per importi che comportino lo sforamento dal fido o l’assenza di fido.

La Corte infine dichiara assorbito il terzo motivo di gravame riguardante la possibilità di chiedere in via subordinata la condanna della banca per illecito arricchimento, siccome richiesto.

Anziché non sia oggetto della decisione ritengo utile un breve cenno alla questione della proponibilità in via subordina della condanna per illecito arricchimento anche con atto successivo al primo atto difensivo. Giova ricordare en passant la decisione di Sez. Un. 22404 del 13 settembre 2018 che risolvendo l’annosa questione dell’ammissibilità della trasformazione della domanda di natura contrattuale in quella di ingiusto arricchimento, che presupporrebbe un diverso titolo e che rivestirebbe carattere sussidiario, ha prescelto una soluzione volta a sfumare la tradizionale distinzione tra mutatio ed emendatio libelli, sostenuta per la prima volta dalle Sez. Un. 12310/2015 laddove tale decisione ha escluso la  mutatio ogniqualvolta non sia mutato od alterato il fatto costitutivo del diritto dedotto in giudizio.

La giurisprudenza di merito conforme Cass. 21646/2018

La si veda analiticamente citata nell’articolo a firma dell’Avv. Fabio Fiorucci, apparso sulla rivista on line “Il Quotidiano Giuridico” del 20 settembre 2018 nel quale sono riportati gli estremi di varie sentenze conformi (Trib. Paola 10.2.2018, Trib. Agrigento 14.3.2016; Trib. Lucca 10.5.2013; Trib. Torino 2.7.2015; Trib. Torino 3.11.2016; Trib. Trani 18.11.2016; Trib. Monza 14.3.2017; Trib. Nocera Inferiore 18.9.2017; App. Milano 20.7.2017; App. Milano 19.9.2017; Trib. Vicenza 24.1.2017; Trib. Padova 23.1.2018; Trib. Taranto 15.4.2015;; App. Milano 1.3.2018).

onf. Cass. Civ. 5919/2016;

Imola li 18.10.2018

Avv. Francesco Roli

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