LA SENTENZA DELLE SEZIONI UNITE N. 24675 DEL 19/10/2017 E L’ABROGAZIONE “DELL’USURA SOPRAVVENUTA” QUALE COSTRUZIONE GIURISPRUDENZIALE OPERATA DAL DIRITTO VIVENTE.
Premessa
Con questo commento non si ha certo la pretesa di sottoporre a vaglio critico le decisioni delle Sezioni Unite sull’usura sopravvenuta ma solo di evidenziare le perplessità ed i dubbi sollevati da più parti subito dopo la pronuncia, dubbi e perplessità che del resto hanno accompagnato fin dal suo inizio la configurazione del nuovo reato di usura con la legge n. 108/1996, la stessa legge di interpretazione autentica, la sentenza n. 29/2002 della Corte Costituzionale e le numerose sentenze della Corte di Cassazione (oltreché dei giudici di merito). Per tale ragione si rende necessario un brevissimo excursus illustrativo di tali provvedimenti legislativi e decisioni.
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Per Usura Sopravvenuta, come noto, si intende far riferimento ad un vizio di nullità od inefficacia che colpirebbe la clausola determinativa della misura del tasso di interesse, non usuraria all’atto della stipula, ma divenuta tale al momento del pagamento per il superamento del limite oggettivo del tasso soglia vigente al momento del pagamento, ma non superato al momento della stipula.
Si tratta di una questione sorta subito dopo l’introduzione della legge 108/1996 che ha modificato l’impianto del precedente reato d’usura. La nuova normativa, a differenza della precedente non presuppone più l’approfittamento dello stato di bisogno (valutato solo come circostanza aggravante del reato) ma vincola l’autonomia privata, nell’ipotesi di prestazione di denaro od altra utilità, ovvero di mediazione creditizia al rispetto di due diversi criteri: il primo al rispetto di un limite invalicabile stabilito dalla legge oltre il quale gli interessi sono sempre usurari (cosiddetta usura oggettiva o presunta ex lege); il secondo al rispetto della proporzione (la cui misura è indeterminata ed è lasciata alla libera valutazione del giudice) tra la prestazione di danaro od altra utilità ed i vantaggi o compensi, anche se inferiori al limite oggettivo, quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto ed al tasso medio praticato per operazioni similari (cosiddetta usura in concreto, o soggettiva od impropria).
Va subito rilevato che l’usura sopravvenuta riguarda entrambe i criteri posto che in entrambi è richiamata sia la fase della dazione che della promessa, (chi li ha dati o promessi) sotto qualsiasi forma degli interessi o degli altri vantaggi usurari.
Il rispetto sia al momento della dazione (…chi si fa dare) che a quello della stipula (o promettere) del limite oggettivo ovvero di quello soggettivo, unitamente alla nuova disciplina della prescrizione (l’art. 644 ter la fa decorrere dal giorno dell’ultima riscossione sia degli interessi che del capitale) hanno subito posto agli interpreti due diversi tipi di questioni fra loro connesse.
La prima attinente alla natura del reato (istantanea, permanente, istantanea ad effetti permanenti?) la seconda al momento consumativo o commissivo (alla dazione? alla promessa? o ad entrambi i momenti?).
Dietro alle due questioni sta un ulteriore e prepotente interrogativo, come tra poco vedremo, con devastanti effetti sui casi concreti di reato e sulla sorte dei contratti creditizi, presentatisi subito dopo l’entrata in vigore della legge: la legge, sia penale che civile, punisce il solo il momento della dazione o solo quello della promessa ovvero entrambi?
Le questioni hanno assunto un macrorilievo politico ed economico, ricordato nella relazione alla legge di interpretazione autentica n. 24/2001, sul quale ritorneremo.
Non è il caso di esaminare qui le molteplici interpretazioni elaborate dalla dottrina e dalla giurisprudenza: basti ricordare la posizione assunta da numerose sentenze della Corte di Cassazione penale che da sempre, in modo uniforme e non controverso ha individuato la nuova natura del reato di usura definendolo non più un reato istantaneo, ad effetti permanenti (qual era quella del vecchi reato di usura) ma un reato a schema duplice a condotta frazionata o a consumazione prolungata che si caratterizza per la ricorrenza sia all’atto della promessa (momento commissivo) che all’atto della dazione (momento consumativo, che puo’ anche non concretizzarsi) OVVERO IN UNO O ALTERNATIVAMENTE NELL’ALTRO CASO.
Siffatta definizione va presa nella massima considerazione posto che essa <copre> sia il momento della dazione che quello della stipula ed è di determinante importanza al fine di risolvere la questione dell’usura sopravvenuta posto che chi la sostiene ha correttamente posto in evidenza che le condotte vietate riguardano, come stabilito dalla Cassazione penale congiuntamente sia il momento della dazione che quello della promessa ovvero, in uno o alternativamente nell’altro caso. Ciò per la fondamentale ragione che esse, al pari delle due facce della stessa moneta corrispondono alle due fasi, cronologicamente distinte e svolgentesi in tempi diversi, che caratterizzano un’unica entità contrattuale avente ad oggetto da un lato la prestazione di danaro dietro un corrispettivo, dall’altro la dazione di interessi (od altra utilità) inscindibilmente collegate dal vincolo sinallagmatico: trattasi della fase della stipulazione, con l’erogazione del capitale che cronologicamente precede la fase della dazione, con la restituzione del capitale e degli interessi che segue l’erogazione e che normalmente avviene in momenti diversi scanditi nel tempo.
Chi al contrario nega il fenomeno dell’usura sopravvenuta, disconoscendo la copertura legislativa del momento della <dazione> non tiene in debito conto: a) sia la diversa configurazione e struttura del reato, come definito dalla Cassazione Penale, rispetto a quella precedente la riforma; b) sia la struttura unitaria del contratto caratterizzata da un lato dalla dall’erogazione del capitale, dall’altro dalla restituzione del capitale e degli interessi che maturano di volta in volta, erogazione e restituzione legate dal vincolo sinallagmatico; c) sia infine la diversa cronologia dei tempi in cui avvengono la promessa, l’erogazione e la restituzione del capitale e degli interessi.
Breve excursus storico della legge sull’usura.
Subito dopo l’introduzione della nuova legge sull’usura (legge 108/96 del 7/3/96) che come noto non fu accompagnata da una norma transitoria si pose il problema della sorte dei contratti di durata ed in particolare dei contratti di mutuo stipulati in data anteriore all’entrata in vigore della legge (secondo trimestre del 1997) che prevedevano la misura di interessi convenzionali e moratori superiore al tasso soglia fissato per la prima volta a partire dal secondo trimestre del 1997, nella misura del 15,90%. Detti tassi per la stragrande maggioranza erano nettamente superiori al tasso soglia in quanto stipulati in epoca caratterizzata da una altissima inflazione con la fissazione di tassi di mercato di alto livello in fase di rapida discesa dopo il trattato di Maastricht (1992). Diverse furono le reazioni: da un lato le interpretazioni di vari giuristi e delle imprese bancarie volte a sostenere la irretroattività della norma penale e la necessità della corresponsione dei medesimi tassi originariamente pattuiti, in modo lecito, nella misura originariamente convenuta (e, dunque, con la cristallizzazione della validità della clausola all’epoca della pattuizione) e dall’altro le contrapposte interpretazioni di altri giuristi e delle associazioni dei consumatori volte ad evidenziare l’estensione del divieto della corresponsione di interessi superiori al tasso soglia (e, dunque con l’estensione della <copertura> del divieto anche al momento della dazione-restituzione degli interessi). In entrambi i ciascuna delle parti contrapposte poneva l’accento sul duplice momento che caratterizza ogni operazione di credito corrispondente a quello coincidente coi propri interessi, sorretti dalle più variegate ragioni storiche, economiche e giuridiche.
Riteniamo comunque che le contrapposte ragioni non disconoscessero che ogni operazione di credito onerosa sia caratterizzata tanto dalla erogazione delle somme da parte di chi fa credito ed eroga danaro a seguito della stipula di un contratto che dalla restituzione del capitale e degli interessi da parte dei clienti in base a quanto previsto nel contratto. Ciò nonostante da un lato ovviamente si poneva l’accento sul momento della stipulazione evidenziando che ove la pattuizione all’atto della stipula fosse stata lecita anche gli interessi convenuti in quel momento avrebbero dovuto essere corrisposti (e cioè dati-restituiti) indipendentemente dal fatto che per una legge posteriore al sorgere della convenzione che ne avesse determinato l’illiceità a seguito del superamento del tasso soglia fosse divenuta illecita la dazione al di sopra della misura vietata. Dall’altro lato si poneva l’accento sul momento della restituzione (e quindi sulla dazione) degli interessi che avrebbero dovuto essere corrisposti nella misura rientrante nei limiti delle soglie di legge pari ai tassi soglia fissati trimestralmente dai decreti ministeriali, ovvero che la sanzione prevista dall’art. 1815 II comma, prevedente la gratuità del mutuo, avesse effetto retroattivo determinando o la nullità o l’inefficacia sopravvenuta della clausola. La Corte Suprema di Cassazione nelle prime decisioni sottoposte alla sua attenzione dopo l’entrata in vigore della legge ebbe a prescegliere con tre sentenze emesse tutte nell’anno 2000 (1126 2/2/2000, 5286 22/4/2000 e 14899 17/11/2000) l’effetto retroattivo della legge 108/1996, applicando de plano ai contratti ancora in corso ma stipulati anteriormente alla legge 108/96 l’art. 1815 II co. c.c. limitatamente alla parte del rapporto ancora in essere alla data della entrata in vigore della legge. Tale intervento della giurisprudenza provocò l’immediata reazione del ceto bancario e della stessa Banca d’Italia che oltre a non aver condiviso l’introduzione di un limite oggettivo al costo del denaro previsto dalla prima parte del terzo comma del testo novellato articolo 644 c.p. per svariate ragioni giuridiche ed economiche, aveva confidato nel principio dell’irretroattiva della normativa penale. Le decisioni della Corte di Cassazione enfatizzarono il disagio e l’allarme sia in sede nazionale che internazionale (come si evince dall’esposizione (artificiosamente?) allarmata contenuta nella Relazione accompagnatoria al disegno di legge) tanto da provocare l’intervento legislativo al fine di chiarire come dovesse essere autenticamente interpretata la nuova normativa. Detto intervento si concretizzò con la decretazione d’urgenza attraverso l’emissione da parte del Governo allora in carica del D.L. n. 394 del 29/12/2000, poi convertito nella legge n. 24 del 28/2/2001 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 49 del 28/2/2001 e recante le firme del Presidente della Repubblica, Ciampi, del Presidente del Consiglio dei Ministri Amato, del Ministro del Tesoro Visco e del Guardasigilli Fassino.
Prima di passare all’analisi della sentenza è bene soffermarsi sul contenuto e sulle finalità di tutto il contenuto della legge che a mio modesto avviso non è stata sufficientemente evidenziato nella decisione delle Sezioni Unite la quale anzi appare in conflitto con la ratio, la finalità ed il contenuto precettivo del secondo comma della medesima legge di interpretazione autentica. In particolare preme fino d’ora sottolineare l’assoluto difetto di analisi delle riduzioni d’imperio, operata dal secondo comma della legge n. 24/2001, della misura dei tassi, stipulati in epoca precedente all’entrata in vigore della legge 108/1996, riguardanti una enorme quantità di mutui per un valore complessivo stimato nella Relazione di accompagnamento della legge in circa 2.500 miliardi di £ire. In pratica con la legge s’è di fatto riconosciuta l’usura sopravvenuta quantomeno per i mutui raggiunti dal provvedimento legislativo, <tagliando> la misura dei tassi, riconducendola alla dimensione di quelli <di mercato>, disconoscendo la validità del patto all’atto della stipula e quindi la sopravvenuta nullità od efficacia della pattuizione intervenuta, con conseguente limitazione della autonomia contrattuale delle parti.
Se pertanto la norma riconosce detta norma si apre al comma 1 con la formulazione dell’interpretazione autentica che così testualmente recita:
“1. Ai fini dell’applicazione dell’articolo 644 del codice penale e dell’articolo 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento.”
Il comma secondo, terzo e quarto così testualmente recitano:
“2. In considerazione dell’eccezionale caduta dei tassi di interesse verificatasi in Europa e in Italia nel biennio 1998-1999, avente carattere strutturale, il tasso degli interessi pattuito nei finanziamenti non agevolati, stipulati nella forma di mutui a tasso fisso rientranti nella categoria dei mutui, individuata con il decreto del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica previsto dall’articolo 2, comma 2, della legge 7 marzo 1996, n. 108, in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto, e’ sostituito, salvo diversa pattuizione piu’ favorevole per il debitore, dal tasso indicato al comma 3. Il tasso di sostituzione e’ altresi’ ridotto all’8 per cento con riferimento ai mutui ovvero a quote di mutuo di importo originario non superiore a 150 milioni di lire, o all’equivalente importo in valuta al cambio vigente al momento della stipulazione del contratto, accesi per l’acquisto o la costruzione di abitazioni, diverse da quelle rientranti nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9, per i quali spettano le detrazioni di cui alla lettera b) del comma 1 e al comma 1-ter dell’articolo 13-bis del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni. La sostituzione di cui al presente comma non ha efficacia novativa, non comporta spese a carico del mutuatario e si applica alle rate che scadono successivamente al 2 gennaio 2001.
3. Il tasso di sostituzione e’ stabilito, per le rate con scadenza a decorrere dal 3 gennaio 2001, in misura non superiore al valore medio per il periodo gennaio 1986-ottobre 2000 dei rendimenti lordi dei buoni del Tesoro poliennali con vita residua superiore ad un anno.
4. Le disposizioni legislative in materia di limiti di tassi di interesse non si applicano ai finanziamenti ed ai prestiti, in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto, concessi o ricevuti in applicazione di leggi speciali in materia di debito pubblico di cui all’articolo 104 del trattato sull’Unione europea.”
Il commento al primo comma, che darà luogo ad una selva di controverse interpretazioni sulla sua portata precettiva, risolte (?) dalla sentenza 24675/2017 delle Sezioni Unite verrà di seguito ripreso.
Come è dato di comprendere dalle piane disposizioni degli altri commi, l’intervento legislativo è volto sostanzialmente a “rasare” i tassi di interesse di alcuni tipi di mutuo in essere alla data di entrata in vigore della legge al fine di renderli coerenti a quelli similari praticati sul mercato.
Già questo fatto appare ad avviso dello scrivente in contraddizione con la decisione delle Sezioni Unite che di fatto ha ignorato siffatto intervento del legislatore implicitamente ricognitivo della cosiddetta “usura sopravvenuta” e della parziale retroattività della norma, ma di questo parleremo in seguito.
Al secondo comma il legislatore al fine di dare una giustificazione all’intervento nonché al significato ed alle finalità perseguite con la norma, il legislatore fornisce un quadro macroeconomico dalle quali prende le mosse per l’emanazione del provvedimento che di fatto va a ledere il principio dell’autonomia privata allorchè opera la rasatura di due categorie di contratti aventi vasta diffusione in considerazione di un fenomeno di vasta portata economica verificatosi allora in tutta Europa costituito dalla caduta verticale e dal livellamento verso il basso dei tassi di interesse praticati sul mercato finanziario internazionale dalle banche fra loro (e di conseguenza verso i loro clienti) anche per effetto del trattato di Maastricht del 7/2/1992. Dopo questa premessa, la legge dispone la sostituzione ex lege con l’effetto della “rasatura” dei tassi di interesse dei mutui a tasso fisso rientranti nella categoria dei mutui individuati dalla legge sull’usura con i DD.MM. trimestrali del Ministero del Tesoro riguardanti due categorie di contratti. Il primo quello dei finanziamenti non agevolati ed il secondo quello dei mutui ovvero delle quote di mutuo di importo originario non superiore a L. 150.000.000 ovvero all’equivalente importo in valuta al cambio vigente al momento della stipulazione del contratto accesi per l’acquisto o la costruzione di abitazioni diverse da quelle rientranti nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9 fruenti delle detrazioni di cui alla lettera b) del comma 1 e al comma 1 ter dell’art. 13 bis del T.U. delle imposte sui redditi (DPR 917/1986). L’entità della rasatura veniva prevista con due tipi di riduzioni diverse:
- per i finanziamenti non agevolati per le rate con scadenza a decorrere dal 3/1/2001 in misura non superiore al valore medio per il periodo gennaio 1986 – ottobre 2000 dei rendimenti lordi dei buoni del tesoro poliennali con vita residua superiore ad un anno, stimati nella misura del 12,1% nella Relazione di accompagnamento della legge, maggiorato dello 0,50% per copertura delle spese affrontate dalle banche per la revisione dei contratti, fatta eccezione per i mutui ai consumatori;
- per i mutui ovvero per le quote di mutuo di importo originario non superiori a L. 150.000.000 il tasso di sostituzione veniva ridotto all’8%.
Per entrambe le categorie veniva fatta salva ovviamente una diversa pattuizione più favorevole per il debitore. Di fatto con tale disposizione veniva riconosciuta ex lege un effetto limitato retroattivo della norma penale e civile (art. 644 c.p. e 1815 II co. c.c.) e cioè di una parziale inefficacia sopravvenuta dei tassi riferentesi a quelle categorie di mutuo previste dalla legge. In definitiva veniva di fatto riconosciuta seppur parzialmente l’usura sopravvenuta dei contratti stipulati in modo legittimo anteriormente all’entrata in vigore della legge 108/96 con la rasatura dei rispettivi tassi di interesse alle diverse misure indicate. Veniva esclusa al quarto comma l’applicazione ai finanziamenti ricevuti in applicazione di leggi speciali in materia di debito pubblico previsti dall’art. 104 del Trattato U.E. in essere alla data di entrata in vigore del D.L. 394/2000.
Tale intervento legislativo diede origine a reazioni contrastanti che hanno trovato ampia allocazione sia nei dibattiti dottrinali che nelle controversie giudiziarie in modo talmente intenso che vari giudici ritennero di dover sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 comma 1 della legge n. 24/2001, dubitando della legittimità costituzionale della norma sotto vari profili. In particolare alcuni giudici dubitavano della legittimità della norma d’interpretazione autentica ove la stessa aveva dato rilievo al solo momento della promessa-stipulazione di fatto escludendo la illiceità della dazione allorchè gli interessi stipulati legittimamente (sia in data anteriore all’entrata in vigore della legge 108/96 ovvero sotto soglia in data posteriore) fossero poi divenuti usurari (per effetto dell’introduzione della legge 108/96 ovvero per abbassamento dei tassi soglia). Secondo i giudici remittenti e per la verità secondo molti commentatori di fatto la legge di interpretazione autentica esorbitando dai propri compiti aveva “cancellato” il momento della dazione di interessi divenuti usurari ancorchè non lo fossero all’atto della stipula di fatto introducendo un principio di inscindibilità e di dipendenza tra la promessa e la dazione escluso dalle finalità della legge e dalla stessa formulazione letterale della norma. La Corte Costituzionale con la sentenza n. 29 del 25/2/2002 “salvava” la norma di interpretazione autentica giudicando costituzionalmente legittimo il primo comma mentre censurava il terzo comma nella parte in cui era stata prevista la decorrenza del tasso di sostituzione a partire dalle rate scadenti successivamente al 2/1/2001 anziché dal giorno stesso dell’entrata in vigore della norma. La decisione della Corte Costituzionale non ha posto tuttavia la pietra tombale sopra la questione della retroattività o meno della norma penale e dell’applicazione o meno della stessa al momento della dazione. Ed in effetti nonostante tale pronuncia si sono susseguite una serie di decisioni dei giudici di merito ma soprattutto della Corte di Cassazione volte da un lato a legittimare il principio dell’usura sopravvenuta con diverse argomentazioni e sfaccettature interpretative e dall’altro negarla. Dette decisioni sono elencate nella parte espositiva della sentenza n. 24675/2017 delle Sezioni Unite e raggruppate nell’uno e nell’altro “gruppo”.
La decisione delle Sezioni Unite passa poi in rassegna al contenuto delle motivazioni espresse sia nelle sentenze che davano una risposta negativa al problema della configurabilità dell’usura sopravvenuta sia a quelle che ne hanno dato una risposta positiva.
Quanto alla prima si è limitata, senza commento o critica alcuna, a riportarne la motivazione ricorrente che attribuiva rilevanza esclusivamente al momento della pattuizione e non a quello della dazione.
Quanto alle seconde, dopo averle elencate e suddivise in base alle singole caratteristiche delle decisioni adottate, si è soffermato ad un rapida analisi della motivazione dell’ordinanza n. 9405 del 12.4.2017 evidenziando il fulcro della ratio decidendi, costituito dalla affermazione dell’applicazione della legge 24/2001 e conseguentemente dalla sostituzione ex lege del tasso soglia in sostituzione di quello contrattuale divenuto usurario, “escludendone però la rilevanza in quanto essa (legge 24/2001) non eliminerebbe l’illiceità della pretesa di un tasso di interesse eccedente la soglia all’atto della dazione ma si limiterebbe ad escludere l’applicazione delle norme penali e civili di cui agli artt. 644 c.p. e 1815 II co. c.c. ferme restando le altre sanzioni civili”.
Secondo le Sezioni Unite tale tesi riprenderebbe un contributo di una parte della dottrina secondo la quale la pattuizione di interessi usurari darebbe luogo alle sanzioni penali e civili, (artt. 644 c.p. e 1815 II co. c.c.), mentre la pretesa di pagamento di interessi divenuti usurari, sarebbe illecita solo civilmente e le conseguenze sarebbero da siffatta dottrina declinate in modo difforme (nullità, inefficacia ex nunc) ma comprenderebbero in ogni caso la sostituzione automatica ex art. 1339 del tasso contrattuale con il tasso soglia ovvero quello legale.
Terminata la disamina delle contrapposte tesi, le Sezioni unite iniziano ad esporre le ragioni della propria decisione affermando di condivide la tesi più restrittiva che nega la configurabilità dell’usura sopravvenuta fondando il proprio convincimento sulla fondamentale osservazione (che costituisce la prima tesi delle Sezioni Unite) dell’obbligo per il giudice di rimanere vincolato alla interpretazione autentica della legge sull’usura imposto dall’art. 1 comma, n. 1 della legge n. 24/2001 in ragione anche e soprattutto della legittimazione attribuitagli dalla sentenza della Corte Costituzionale le cui motivazioni assumono rilevanza per la soluzione della questione in esame.
A tale premessa fa seguito una seconda asserzione secondo la quale sarebbe priva di fondamento legislativo la tesi che vieta la pretesa di chiedere e la dazione di interessi usurari che siano tali solo al momento della corresponsione ma non a quello della stipula in quanto la legge 108/1996, integrata dalla legge di interpretazione autentica, vieterebbe la sola stipula. Né sarebbe configurabile un illecito civile costituito dalla pretesa di chiedere e dalla dazione di interessi divenuti usurari ove non sussistesse il divieto della dazione ma solo quello della pattuizione.
Infondato sarebbe il richiamo alla presunta ratio legis volta a calmierare il mercato che imporrebbe il rispetto della soglia al momento della dazione. Le Sezioni Unite osservano che piuttosto la voluntas legis è quella di porre un efficace contrasto del fenomeno usuraio come enunciato nella relazione illustrativa del disegno di legge e come ricordato dalla Corte Costituzionale. La conferma la si ritrarrebbe dal fatto che il meccanismo di definizione del tasso è basato su rilievi trimestrali posteriori sicchè il tasso soglia sarebbe l’effetto e non la causa dell’andamento del mercato.
Una terza ratio decidendi riguarda l’interpretazione di una affermazione che si rinviene nella decisione della Corte costituzionale utilizzata dai sostenitori dell’usura sopravvenuta per legittimare le proprie tesi.
Questa l’affermazione in questione:
Restano, invece, evidentemente estranei all’ambito di applicazione della norma impugnata gli ulteriori istituti e strumenti di tutela del mutuatario, secondo la generale disciplina codicistica dei rapporti contrattuali.
Osservano le Sezioni Unite che alcuni commentatori hanno sostenuto la vincolatività di siffatta affermazione trattandosi di una parte della ratio decidendi che impone di considereare illecita –ancorchè non penalmente né a pena della gratuità del contratto ex art. 1815 c.c la pretesa di pagamento di un tasso divenuto nel tempo usurario. Secondo le Sezioni Unite il passo della sentenza della Corte Costituzionale pur vincolando l’interprete non escluderebbe la tesi da lei adottata di affermare la validità della previsione contrattuale e, di conseguenza, la legittimità della pretesa di esigere il pagamento del tasso di interesse originariamente convenuto e non usurario ma che finisca col diventarlo nel corso del rapporto e lo sia al momento dell’esazione.
Questo il sillogismo giustificatorio della precedente asserzione: “E’ evidente che far salva la validità ed efficacia della clausola contrattuale, non significa negare la praticabilità di altri strumenti di tutela del mutuatario previsti dalla legge, ove ne ricorrano i presupposti, significa solo negare che uno di tali rimedi sia costituito dalla invalidità od inefficacia della clausola in questione”.
Sulla base di tali argomentazioni le Sezioni Unite concludono asserendo l’impossibilità di stabilire la nullità o l’inefficacia della clausola originariamente lecita ove il tasso di interesse all’atto della pretesa e del pagamento sia divento usurario in quanto nel testo della legge 644 c.p. e dell’art. 1815 II co c.c., così come autenticamente interpretati dalla legge n. 24/2001, siffatto divieto con la conseguente sanzione di nullità, riguarda esclusivamente il momento della stipula. Nessuna disposizione di legge vieterebbe la dazione usuraria ove la pattuizione non lo sia stata.
Una ultima annotazione critica diretta a svuotare di contenuto un tesi sostenuta da una non meglio precisata parte della dottrina chiude l’articolata motivazione delle Sezioni Unite.
Secondo tale orientamento dottrinario, occorrerebbe valorizzare il principio di buona fede (1375 c.c.) e il dovere della solidarietà reciproca ex art. 2 Cost., (che obbliga le parti ad agire in modo tale da preservare gli interessi dell’altra nell’esecuzione del contratto, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi di legge o contrattuali) anziché quello della sostituzione automatica delle clausole nulle (ex art. 1339 e 1418 c.c.). Secondo tale teoria sarebbe infatti scorretto esigere una prestazione ancorata ad un tasso usurario atteso che in quel momento quel tasso non potrebbe essere promesso dal debitore ed il denaro mutuato in quel momento a quel tasso usurario frutterebbe al creditore molto di più di quanto frutti agli altri creditori in genere.
Le sezioni Unite ritengono dottrinariamente erroneo il ricorso a tale principio posto che, pur costituendo un criterio di integrazione contrattuale riguarderebbe la fase esecutiva del rapporto e non inciderebbe sul momento genetico. Di modo che “la violazione del canone di buona fede non ha alcuna rilevanza allorchè si chieda l’esecuzione del contratto ma solo quando le modalità dell’esecuzione o della richiesta di esecuzione siano scorrette in relazione alle circostanze del caso. Cosicché “va escluso che sia da qualificare scorretta la pretesa in sé di quegli interessi, corrispondente ad un diritto validamente riconosciuto dal contratto” mentre “…può affermarsi che, in presenza di particolari modalità o circostanze, anche la pretesa di interessi divenuti superiori al tasso soglia in epoca successiva alla loro pattuizione potrebbe dirsi scorretta ai sensi dell’art. 1375 c.c..”
Conclusivamente le Sezioni Unite dettano il seguente principio di diritto:
“Allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell’usura come determinata in base alle disposizioni della legge n. 108 del 1996, non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge, o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula; né la pretesa del mutuante di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di tale soglia, contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto”.
Prima di passare alla disamina delle singole posizioni ci preme fare una riflessione sul contesto legislativo in cui è espressa la norma di interpretazione autentica contenuta nell’art. 1 co. 1 della Legge n. 24/2001.
A nostro sommesso avviso se non si inquadra la disposizione legislativa nel contesto della norma, si perde di vista non lo scopo per il quale essa fu emessa ma anche il suo significato.
Vogliamo di nuovo ricordare che il legislatore non si è limitato soltanto a dare una interpretazione autentica ai fini dell’applicazione dell’art. 644 c.p. e 1815 II co. c.c. ma ha anche provveduto ai commi 2 e 3 ad una riduzione generalizzata di due categorie di tassi di interesse stipulati anteriormente all’entrata in vigore della legge 108/96 e che nel frattempo erano divenuti usurari. Al comma 4 poi il legislatore ha specificato che la “rasatura” dei tassi non si applicava ai finanziamenti e ai prestiti in essere alla data di entrata in vigore del decreto concessi o ricevuti in applicazione di leggi speciali in materia di debito pubblico di cui all’art. 104 del trattato dell’Unione Europea (ciò all’evidente fine di non violare la suddetta norma).
Ricordiamo che i tassi rasati erano quelli: a) stipulati nella forma di mutui a tasso fisso rientranti nella categoria dei mutui così come classificati dal Ministero del Tesoro in forza della legge 108/96 in essere alla data di entrata in vigore del decreto (comma n. 2 prima parte); b) i tassi dei mutui ovvero delle quote di mutuo di importo originario non superiori a L. 150.000.000 o all’equivalente importo in valuta al cambio vigente al momento della stipulazione del contratto accesi per l’acquisto o la costruzione di abitazioni rientranti nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9 per i quali spettavano detrazioni di cui alla lettera B del comma 1 e del comma 1 ter dell’art. 13 bis del T.U. sui redditi (DPR 22/12/86 n. 917).
I tassi di entrambe le tipologie dei contratti vengono ridotti ex lege (“rasati”) a una misura indicata specificamente quanto ai contratti sub a) nel comma 3 e quanto ai contratti sub b) all’8%.
La misura sub a) è indicata nel testo della relazione al disegno di legge al capitolo 2, prima colonna di pag. 6 ed è pari al 12,21%.
Raffrontando i tassi ridotti ex lege con i tassi soglia per la categoria dei mutui (10,395%) vigenti dall’1/1/2001 al 31/3/2001 secondo il D.M. Tesoro 20/12/2000, si ha modo di constatare che i tassi sub a) sono superiori al tasso soglia di pochi punti (1,815%) mentre i tassi sub b) sono inferiori di 2,395 punti al tasso soglia.
Da tale raffronto e dalla “rasatura” operata ex lege dei tassi dei mutui allora vigenti, non può che dedursi come lo stesso legislatore nel medesimo testo di legge nel mentre da un lato determinava l’usurarietà dei tassi riferita esclusivamente all’atto della stipula (e quindi di conseguenza negava l’usurarietà sopravvenuta) di fatto la riconosceva per i due tipi di tassi riguardanti le categorie di mutui sopra descritti ai commi 2 e 3.
A nostro sommesso avviso è ben vero quanto affermano le Sezioni Unite e cioè che occorre rispettare il dettato legislativo dell’art. 1 co. 1 della legge 24/2001 ma è altrettanto vero che di fatto quelle due categorie di mutui erano state assoggettate al principio della “rasatura” e cioè ad un principio conforme al concetto di usura sopravvenuta.
Per tale ragione a nostro sommesso avviso le Sezioni Unite avrebbero dovuto seguire un’altra via che è quella già adottata in precedenza dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 204/1997 per le fideiussioni omnibus stipulate in epoca anteriore alla novella contenuta nella legge 154/1992.
Ricordiamo che avanti alla Corte Costituzionale era stata sollevata dal giudice istruttore del Tribunale di Varese la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 1938 c.c. che disciplina la fideiussione per obbligazioni future.
Tale disposizione di legge era stata modificata con l’art. 10 della legge 17/2/92 n. 154 che prevedeva l’obbligo per le fideiussioni future, stipulate dopo l’entrata in vigore (9/7/92) della suddetta legge, di indicare l’importo massimo garantito.
Secondo il giudice istruttore del Tribunale di Varese la disposizione innovativa non sarebbe applicabile per le fideiussioni prestate prima dell’entrata in vigore della legge, dallo stesso ritenute valide ed efficaci.
Sicchè ad avviso del medesimo giudice sarebbe stato violato l’art. 3 della Costituzione in presenza di una disciplina ingiustificatamente diversa per situazioni analoghe oltre all’art. 47 I co. della Costituzione.
In pratica il giudice istruttore riteneva che l’art. 10 della legge 154/92 avesse carattere innovativo e non si applicherebbe retroattivamente ai rapporti preesistenti.
La Corte Costituzionale nel dichiarare infondata la questione di illegittimità costituzionale, riteneva che l’innovazione legislativa non toccasse la garanzia per le obbligazioni principali già sorte ma escludesse la produzione di ulteriori effetti e che la fideiussione potesse assistere obbligazioni principali successive all’entrata in vigore della legge.
La Corte Costituzionale aggiungeva altresì con una osservazione illuminante, anche ai fini della questione che ci occupa, che non avesse carattere ultrattivo la precedente disciplina tale da consentire che la garanzia personale prestata dal fideiussore assistesse non solo le obbligazioni principali sorte prima dell’entrata in vigore della legge n. 154/92 ma anche quelle successive in modo da attribuire efficacia permanente alla illimitatezza del rapporto di garanzia.
Osservava infine che la diversità di disciplina tra fideiussioni prestate prima o dopo l’entrata in vigore della legge 154/92 non configurasse alcuna ingiustificata disparità di trattamento di situazioni identiche ma rispecchiasse piuttosto una diversa qualificazione degli atti nel tempo da parte del legislatore il quale nel dettare una nuova regola attinente ad un requisito del contratto non stravolgeva gli obblighi già sorti in base alla normativa precedente.
Successivamente la Corte di Cassazione in ordine alla medesima questione (ad es. Cass. Sez. III 9/8/2001 n. 10981) aveva modo di affermare che “Le fideiussioni omnibus illimitate alla data dell’entrata in vigore della legge n. 154/1992 (cioè al 9 luglio 1992) conservano validità ed efficacia soltanto in riferimento alle obbligazioni principali già sorte, mentre divengono inefficaci in relazione alle obbligazioni successive sorte. Perché queste siano assistite dalla fideiussione, più non operando il precedente contratto, occorre che sia nuovamente prevista la fideiussione, nelle forme di cui all’art. 1937 c.c., in conformità al requisito, introdotto dal novellato art. 1938 c.c., della previsione dell’importo massimo garantito”.
In pratica la Corte di Cassazione introduceva il principio dell’inefficacia sopravvenuta che al contrario è stata esclusa dalle Sezioni Unite 24675/17 con un’argomentazione che desta notevoli perplessità laddove con la suddetta decisione queste ultime così si sono testualmente espresse facendo riferimento a un passo della sentenza della Corte Costituzionale n. 24/2002 che aveva riconosciuto la conformità al dettato costituzionale della legge n. 24/2001: “Poiché, si è osservato, tale affermazione non è un mero obiter dictum, bensì parte della ratio decidendi, essa è vincolante per l’interprete e impone di considerare illecita – ancorchè non penalmente, né a pena della gratuità del contratto ai sensi dell’art. 1815, secondo comma, cod. civ. – la pretesa del pagamento di interessi a un tasso convenzionale divenuto nel tempo superiore al tasso soglia. Non conta qui approfondire se il passaggio in questione rientri o meno nella ratio della decisione dalla Corte costituzionale. Basterà osservare che esso contiene un’affermazione indubbiamente esatta, ma non contrastante con le conclusioni sopra raggiunte circa la validità ed efficacia della previsione contrattuale di un tasso d’interesse che finisca poi col superare il tasso soglia nel corso del rapporto. E’ evidente, infatti, che far salva la validità ed efficacia della clausola contrattuale non significa negare la praticabilità di altri strumenti di tutela del mutuatario previsti dalla legge, ove ne ricorrano gli specifici presupposti, significa soltanto negare che uno di tali strumenti sia costituito dalla invalidità o inefficacia della clausola in questione.”
La Corte Costituzionale aveva affermato al punto 4.3 della decisione, la legittimità costituzionale dell’art. 1 comma 1 del D.L. 394/2000 convertito nella legge 24/2001 ove limitato alle sole ipotesi di pattuizione originariamente usurarie in quanto “impone – tra le tante astrattamente possibili – un’interpretazione chiara e lineare delle suddette norme codicistiche, come modificate dalla legge n. 108 del 1996, che non è soltanto pienamente compatibile con il tenore e la ratio della suddetta legge ma è altresì del tutto coerente con il generale principio di ragionevolezza. Restano, invece, evidentemente estranei all’ambito di applicazione della norma impugnata gli ulteriori istituti e strumenti di tutela del mutuatario, secondo la generale disciplina codicistica dei rapporti contrattuali”.
A ben vedere le Sezioni Unite interpretano quest’ultima frase della Corte Costituzionale in maniera estensiva ipotizzando la sussistenza di un’affermazione dalla stessa mai espressa e costituita dalla seguente frase sopra riportata: “E’ evidente, infatti, che far salva la validità ed efficacia della clausola contrattuale non significa negare la praticabilità di altri strumenti di tutela del mutuatario previsti dalla legge, ove ne ricorrano gli specifici presupposti, significa soltanto negare che uno di tali strumenti sia costituito dalla invalidità o inefficacia della clausola in questione.”.
Il riferimento agli ulteriori istituti e strumenti a tutela del mutuatario secondo la generale disciplina codicistica dei rapporti contrattuali non può essere intravista se non proprio nella dichiarazione di inefficacia che le Sezioni Unite hanno inteso invece negare.
Peraltro, come di seguito si dirà per la soluzione adottata dalle Sezioni Unite, in ordine all’applicazione del principio di buona fede, non pare essere stato adeguatamente soppesato il contenuto al riferimento ad ulteriori istituti e strumenti a tutela del mutuatario che invece avrebbero condotto alla decisione più semplice rappresentata dalla declaratoria di inefficacia mediante l’adozione dello stesso strumento giuridico fatto proprio dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 204/1997 per le fideiussioni.
L’altro punto critico, come è stato da più parti osservato, è rappresentato dalla esclusione della valorizzazione del principio di buona fede oggettiva nell’esecuzione del contratto di cui all’art. 1375 c.c..
Secondo le Sezioni Unite l’argomentazione che si basa sulla valorizzazione di tale argomento non sarebbe persuasiva in quanto la buona fede è il criterio di integrazione del contenuto contrattuale rilevante ai fini dell’ “esecuzione” del contratto stesso ex art. 1375 c.c. e cioè della realizzazione dei diritti da esso scaturenti. Secondo le Sezioni Unite “la violazione del canone di buona fede non è riscontrabile nell’esercizio in sé considerato dei diritti scaturenti dal contratto, bensì nelle particolari modalità di tale esercizio in concreto, che siano appunto scorrette in relazione alle circostanze del caso. In questo senso può allora affermarsi che, in presenza di particolari modalità o circostanze, anche la pretesa di interessi divenuti superiori al tasso soglia in epoca successiva alla loro pattuizione potrebbe dirsi scorretta ai sensi dell’art. 1375 c.c.; ma va escluso che sia da qualificare scorretta la pretesa in sé di quegli interessi, corrispondente a un diritto validamente riconosciuto dal contratto”.
In pratica le Sezioni Unite lasciano la porta aperta al riscontro della sussistenza dell’usura sopravvenuta ai casi in cui per particolari e scorrette modalità dell’esercizio in concreto dei diritti scaturenti dal contratto si abbia la violazione del principio di cui all’art. 1375 c.c..
Peccato che la Corte di Cassazione non l’abbia specificato o individuato quali possano essere le scorrette particolarità e modalità di esercizio.
Contro siffatta interpretazione delle Sezioni Unite sono state sollevate numerose riserve da parte di vari autori.
Senza la pretesa di esaminare compiutamente le critiche dirette alla sentenza delle Sezioni Unite ci preme indicare gli autori di siffatte critiche e le pubblicazioni ove sono espresse.
Ricordiamo in primo luogo l’articolo tratto da Giustizia Civile.com del 24/10/2017 ad opera di Stefano Pagliantini il quale solleva parecchi interrogativi in ordine alla soluzione adottata evidenziando come ad esempio l’inammissibilità in astratto della violazione del principio di buona fede e la ricorrenza solo nel caso concreto supporrebbe che l’usura sopravvenuta diventi un problema di prova.
L’autore peraltro osserva lucidamente come l’ipotizzazione da parte delle Sezioni Unite di una variabile via di fuga rappresentata dalla esperibilità ove ne ricorrano i presupposti di altri rimedi civilistici senza che vengano illustrati i contenuti di questa “terza via” costituirebbe una decisione sicuramente non lineare né satisfattiva della motivazione stessa.
In pratica secondo il suddetto autore ammettere una terza via come figura ammissibile dell’usura sopravvenuta rappresenterebbe la negazione dei mutui a tasso fisso creando i presupposti per un corto circuito sistematico.
Nel proporre alcune chiose interpretative l’autore rileva come il problema rischia di rimanere aperto posto che: “se le S.U. avessero abbozzato un’esemplificazione, di massima naturalmente, per ciò che intendono come ipotesi di deroga, avrebbero evitato che la futura concretizzazione giudiziale, ne sforacchi, se dovesse rivelarsi a maglie larghe, il dispositivo. Traspare così in filigrana che la chiave di volta potrebbe essere quella di procedere all’elaborazione di Fallgruppen… Vedremo”.
Secondo Antonio Zurlo (articolo 6/11/2017 rinvenibile in https://giuricivile.it/usura-sopravvenuta-sezioni-unite/) tra le altre affermazioni ritiene eccessivamente elusiva l’esclusione della dichiarazione di inefficacia della clausola in questione: “soprattutto tenendo conto che l’estromissione di tutte le implicazioni, direttamente o mediatamente, conseguenti alla dichiarazione d’invalidità o d’inefficacia della clausola di pattuizione del tasso, concorre a incrementare la difficoltà, già di per sè rilevante, ad individuare un efficace strumento rimediale”; l’autore ritiene altresì che la soluzione adottata dalla Corte in relazione al ricorso della cosiddetta buona fede oggettiva costituisca una “formulazione piuttosto ambigua” … per un “difetto di determinatezza nelle indicazioni della Corte, che, peraltro, non viene neppure sanato dal riferimento all’operatività della buona fede c.d. oggettiva”.
L’autore suggerisce soluzioni possibili attraverso la strada del ricorso al principio di buona fede richiamando decisioni dell’ABF in un articolo pubblicato in “Banca Borsa Titoli di Credito”, fasc. 3, 2015, 388.
Il ricorso a tale principio eviterebbe l’applicazione degli artt. 1339 e 1419 che sarebbero inapplicabili ai contratti originariamente non usurari mentre il ricorso al principio di buona fede con un’operazione di riequilibratura contrattuale raggiungerebbe lo scopo attuando un principio già noto all’ordinamento costituito dalla riduzione della clausola penale ai sensi dell’art. 1334 c.c..
Secondo l’autore l’unica soluzione al problema sarebbe quella della rideterminazione flessibile della clausola di determinazione degli interessi mediante la trasformazione del tasso fisso, contrattualmente pattuito in un tasso variabile elastico oscillante tra quello inizialmente previsto e quello medio periodicamente rilevato costituito dal tasso soglia.
Secondo Antonio Aghilar (si veda l’articolo pubblicato in Quotidiano del Diritto il 20/10/2017 dal titolo “Usura Sopravvenuta: la Cassazione ne lega la rilevanza sui mutui a tasso fisso ma le motivazioni non convincono”) la decisione della Corte non farebbe altro che ridurre la legge antiusura ad un guscio vuoto e facilmente eludibile attraverso non difficili adozioni di criteri elusivi (in tal senso si veda anche Aldo Angelo Dolmetta “l’usura sopravvenuta” pubblicata anteriormente all’emanazione della sentenza in un articolo intitolato “l’usura sopravvenuta in Cassazione” e rinvenibile su Il Caso.it), privo di alcuna efficacia pratica nella gran parte dei casi. L’autore rileva come la norma di interpretazione autentica di fatto eliderebbe la fattispecie della “dazione usuraria prevista dalla Legge 108/96 e dall’art. 644 c.p. novellato”: il che non sarebbe consentito da una norma di interpretazione autentica. Trattasi di osservazioni peraltro riportata anche da molti altri osservatori.
L’autore prosegue facendo riferimento al fatto che l’erogazione del credito si sviluppa nel tempo e che i tassi soglia sono conoscibili anteriormente in quanto pubblicati e resi noti alla fine del trimestre precedente a quello entrato in vigore: sicchè il problema dell’usura “sopravvenuta” per i contratti a tasso variabili ovvero per le aperture di credito posti in essere dopo l’entrata in vigore della legge, stipulati con tassi di interesse inferiori alla soglia ma divenuti usurari per effetto dell’abbassamento del tasso soglia riguarderebbe esclusivamente siffatti contratti ma non anche a quelli a tasso fisso con evidente creazione di una sorta di doppio binario che esclude l’usura sopravvenuta per i mutui a tasso fisso e la prevede invece per i mutui a tasso variabile e per le altre operazioni di credito (apertura di credito in conto corrente) soggette alla variazione dei tassi.
L’autore rileva infine come la soluzione prospettata dalle Sezioni Unite sia parziale in quanto prende in considerazione soltanto gli interessi propriamente detti e non anche le altre componenti del costo del credito (spese di incasso, rata, spese di istruttoria, assicurazioni, commissioni di vario tipo ivi comprese le CIV) che normalmente sono incluse nel calcolo del TAEG.
Siffatte fattispecie sfuggirebbero tutte alla sanzione prevista dalla legge antiusura e sarebbero punibili con la più tenue sanzione del risarcimento del danno in caso di violazione dell’art. 1375 c.c..
Con un articolo pubblicato su Diritto Bancario (Riv. Dir. Banc. dirittobancario.it 32,2017 il Magistrato Pasquale Serrao d’Aquino sottopone ad una rigorosissima vasta critica la decisione delle Sezioni Unite sotto molteplici aspetti e sollevando parecchi dubbi in ordine alla decisione adottata.
Il Consigliere della Corte di Cassazione Dott. Guido Federico (in Rivista Dir. Bancario: dirittobancario.it 29 del novembre 2017) nell’esporre i criteri adottati dalla Corte e partendo dal principio dalla collocazione nel tempo dei contratti di credito propone una diversa chiave di lettura della legge n. 24/21 facendo riferimento al combinato disposto degli artt. 1374 e 1339 c.c.
Nel ricordare che l’art. 1374 prevede che: “INTEGRAZIONE DEL CONTRATTO. Il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, o in mancanza secondo gli usi e l’equità.” e che l’art. 1339 prevede la sostituzione ex lege dei prezzi di beni o di servizi imposti dalle leggi (intendendo per tali i limiti del tasso soglia previsti dalla legge 108/96) prospetta la possibilità di adeguare il contenuto del contratto ad un tasso inferiore al tasso soglia al fine di riequilibrare il sinallagma contrattuale.
L’autore afferma che non si tratta di introdurre la variabilità dei tassi di interesse che le parti hanno escluso nei contratti a tasso fisso ma piuttosto di configurare un limite di salvaguardia laddove a causa dell’andamento del mercato si determini una forbice, ex lege eccessiva, tra tasso pattuito e quello comunemente praticato riportando nei limiti della soglia la misura dei tassi così di fatto ritenendo la dazione dei tassi usurari inaccettabili anche per i contratti in essere.
L’autore sottolinea come la modifica potrebbe derivare da una richiesta del debitore di applicare il tasso soglia quale limite della propria obbligazione di corresponsione degli interessi al fine di salvaguardare l’equilibrio contrattuale tra le parti alterato dall’eccessivo scostamento identificato con sopravvenuta usurarietà del tasso di interesse.
Siffatte considerazioni vengono basate sul fatto che in un rapporto di media-lunga durata caratterizzato dalla frequente oscillazione dei tassi di mercato non è sufficiente ritenere realizzato l’equilibrio soltanto all’inizio del rapporto e non durante lo svolgimento dello stesso.
Tale tesi trova riscontro in numerosi altri autori che evidenziano come i rapporti di credito si sviluppano nel tempo e che appare privo di coerenza logica cristallizzare il momento rilevante dell’usura all’epoca della pattuizione e non tenerne conto nelle successive fasi.
Il dr. Astuni, magistrato presso il Tribunale di Torino, in un notevole spunto critico articolato su molteplici osservazioni dettate dalla vasta esperienza acquisita sul campo, (si vede l’art. “usura Genetica e sopravvenuta –Brevi note per l’utilizzo di Cass. 24675/2017-, pubblicato sul sito dell’Ordine dei Dottori Commercialisti di Torino, Convegni, 24.11.2017, Seminario in materia bancaria e finanziaria,6° incontro, slides) espone le argomentazioni adottate da Sez. Un e sottoponendole a critica ragionata, rileva la scarsa plausibilità della soluzione adottata che finirebbe per azzerare il presidio dell’usura.
Il concetto basilare dello svolgimento nel tempo dei rapporti di credito e delle inevitabili conseguenze che ne deriverebbero negando l’applicazione dell’usura sopravvenuta ben vennero illustrate dal Prof. Aldo Angelo Dolmetta, consigliere della Corte di Cassazione sia nell’art. sopra citato che in un breve intervento il 15.2.2017 presso la Corte di Cassazione e pubblicato sulla rivista dirittobancario.it nel marzo 2017. In quest’ultimo intervento l’autore richiamando il principio dell’art. 821 III co. c.c.(secondo il quale gli interessi maturano giorno per giorno) afferma che il contratto di mutuo, anche a tasso fisso non rimane estraneo al mercato che andrà a seguire nel futuro, lungo le varie frazioni temporali nelle quali il rapporto si snoderà. L’autore evidenzia che il riferimento al solo TEGM di prima applicazione, non può essere ultrattivo e regolare tutto il restante rapporto.
Rileva infine che il creditore a seguito dell’abbassamento del tasso non si troverebbe in balia degli eventi, ben potendo ricorrere alle clausole di salvaguardia e cimatura in modo da arrestare automaticamente il tasso al limite della soglia così riportando sulla linea di correttezza il proprio comportamento in ossequio al principio di buona fede.
Trattasi evidentemente di una tesi “anticipatamente” correttiva di quella adottata dalle Sezioni Unite.
In conclusione, anziché risolto, il problema della cosiddetta usura sopravvenuta appare ancora lontano dalla sua definizione e con ogni probabilità, le sezioni Unite, forse, saranno di nuovo chiamate, quantomeno, o a riparare i varchi lasciati aperti dalla decisione in commento ovvero a mutare completamente l’indirizzo.